TRIBUNALE DI NAPOLI Sezione del G.I.P. - Ufficio 41 Il G.U.P. dr.ssa Anita Polito, sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 17 novembre 2009, in merito alla eccezione di legittimita' costituzionale sollevata dall'avv.to Elena Coccia e dall'avv. Annalisa Senese in relazione all'art. 2, comma 4 e 5, L. 14 luglio 2008, n. 123; Letti gli atti ed in particolare le memorie depositate dai difensori; Ritenuto che ricorrano i presupposti per sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, L. 14 luglio 2008, n. 123; Considerato che il giudizio a carico di Bertini Mauro, Cappuccio Gennaro, Pagano Giovanni, Salzano Annamaria, Fiorillo Antonio, in atti generalizzati, relativamente al reato di cui al capo a) della richiesta di rinvio a giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione di tale questione per le ragioni espresse dai difensori degli imputati e per quelle che si ritiene di dover individuare di ufficio, ai sensi dell'art. 23, comma 2, L. n. 87/53; Visto l'art. 134 Cost., art. 1 L. n. 1/1948, 23 e ss. L. n. 87/53; Osserva In data 8 maggio 2009, veniva depositata richiesta di rinvio a giudizio a carico di Bertini Mauro ed altri, in atti generalizzati, per il reato, tra gli altri, di cui all'art. 682 c.p., in relazione all'art. 2, comma 4 e 5 L. n. 14 luglio 2008, n. 123, «perche', in concorso tra loro e con altre persone allo stato non identificate, impedivano e comunque rendevano piu' difficoltoso l'accesso autorizzato di n. 5 autoarticolati dell'Esercito Italiano, che trasportavano materiale argilloso destinato alla realizzazione di strutture logistiche dell'accampamento sito all'interno dell'area di interesse strategico nazionale ex art. 2, comma 4, L. n. 123/2008 di «Via Cupa dei Cani», nei pressi della «discarica di Chiaiano». Commesso in Marano di Napoli il 30 settembre 2008. All'udienza preliminare del 27 novembre 2008, i difensori avv. Elena Coccia e avv. Annalisa Senese, sollevavano eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 4 e 5 L. n. 123/2008 e prima ancora dello stesso D.L. n. 90/2008, convertito in legge, eccependo la violazione di varie norme di rango costituzionale: gli artt. 117 e 118 Cost., per l'attribuzione al Capo Dipartimento della Protezione Civile, in qualita' di Sottosegretario di Stato, dei poteri per la risoluzione dell'emergenza rifiuti, attuando in questo modo una confusione tra sfera politica e sfera gestionale; l'art. 102 Cost. per violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, avendo accentrato la competenza in relazione a tutti i reati ambientali (collegati alla gestione dell'emergenza rifiuti in Campania) nel Tribunale di Napoli, si' da creare un vero e proprio giudice speciale; l'art. 3 Cost., introducendo nuove figure di reato solo per i cittadini della Campania; art. 27 Cost., stante la estrema indeterminatezza delle norme introdotte e cosi' via. Posto che la sollevata questione di legittimita' costituzionale investe esclusivamente il reato contestato al capo a) della richiesta di rinvio a giudizio e non gli altri capi di imputazione, relativi a reati di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato, in relazione ai quali la decisione prescinde da qualsiasi valutazione in relazione alla norma avverso la quale e' stata sollevata eccezione di legittimita' costituzionale, questo Giudice, previo stralcio relativamente al capo a) della richiesta di rinvio a giudizio, ritenendo la questione sollevata dai difensori non manifestamente infondata e rilevante ai fini del relativo giudizio, per i motivi e con i limiti di cui appresso, sospendeva il procedimento nei confronti dei soggetti imputati per detto reato e disponeva procedersi oltre nell'udienza preliminare relativamente agli altri capi di imputazione. Orbene, richiedendo l'art. 23, comma 2, L. 11 marzo 1953, n. 87 al Giudice dinanzi al quale viene sollevata la questione di legittimita' costituzionale una duplice valutazione: in merito alla non manifesta infondatezza della questione sollevata ed in merito alla rilevanza della dedotta questione ai fini di una decisione sul giudizio in corso, nel caso posto sub iudice, delle questioni sollevate avverso le disposizioni contenute nella L. n. 123/2008 - e analiticamente indicate nelle memorie in atti - alla cui lettura si rinvia per ragioni di brevita' espositiva - e sopra riassunte, le uniche che si ritengono allo stato rilevanti ai fini di una decisione sul merito del giudizio pendente sono quelle relative alla violazione degli artt. 3, 27 e 77 Cost., posto che questo Giudice e' chiamato a stabilire la configurabilita' o meno in capo agli imputati del reato introdotto dall'art. 2, comma 4 e 5 L. n. 123/2008 e dunque la sussistenza di elementi che possano giustificare il rinvio a giudizio degli stessi per il reato in esame, Quanto alla violazione dell'art. 77 Cost., sotto il profilo del difetto dei presupposti di necessita' ed urgenza, giustificativi dell'adozione dello strumento del decreto-legge e dunque anche del D.L. n. 90/08, successivamente convertito nella L. n. 123/08, in cui e' contenuta la norma che ha introdotto il reato per cui si procede, va osservato in generale che l'istituto della decretazione di urgenza nel suo modello classico e' funzionale alla necessita' di sopperire ad esigenze eccezionali obiettivamente indifferibili, anche se nella prassi, soprattutto degli ultimi anni, viene sovente utilizzato come procedura di «accelerazione» del procedimento legislativo per quei provvedimenti ritenuti necessari ed urgenti dal governo, cio' al fine di soddisfare una reale esigenza - ordinaria e non eccezionale - degli ordinamenti moderni, ossia quella di assicurare la rapidita' e la tempestivita' dell'azione politica. In buona sostanza, la prassi applicativa ha fatto si' che detta forma di iniziativa legislativa venisse utilizzata per provvedere riguardo qualsiasi materia, in casi che non presentavano il carattere della «straordinarieta'» intesa come eccezionalita' ed imprevedibilita', limitando i requisiti della necessita' ed urgenza a meri riferimenti formali. In tale ottica, la Corte costituzionale, intervenuta sull'argomento, ha affermato che «l'utilizzazione del decreto-legge non puo' essere sostenuta dall'apodittica enunciazione delle ragioni di necessita' ed urgenza, ne' puo' esaurirsi nella constatazione della ragionevolezza della disciplina che e' stata introdotta. L'esistenza dei requisiti della straordinarieta' del caso di necessita' ed urgenza necessari per l'emanazione del decreto-legge puo' essere oggetto di scrutinio di costituzionalita', il quale deve svolgersi su un piano diverso dalle valutazioni iniziali del Governo e successiva del Parlamento in sede di conversione e non e' precluso dall'eventuale legge di conversione. A questa, infatti, non puo' riconoscersi efficacia sanante, poiche' il difetto dei requisiti del «caso straordinario di necessita' ed urgenza» costituisce un vizio in procedendo della relativa legge, con cui e' alterato il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie» (Cfr. Corte cost. 23 maggio 2007, n. 171). Ora, quanto alla gestione dei rifiuti in Campania, e' innegabile che, al momento dell'emanazione del decreto-legge in oggetto, vi fosse una vera e propria situazione di necessita' ed urgenza, stante, tra l'altro, il pericolo per la salute pubblica derivante dalla situazione di «stallo» nella raccolta e smaltimento del rifiuti solidi urbani. Dunque, non di apodittica enunciazione di una situazione di necessita' ed urgenza trattatasi, ma di una concreta e drammatica situazione legittimante l'intervento del Governo con lo strumento del decreto-legge. La questione relativa dunque alla violazione dell'art. 77 Cost. va dichiarata manifestamente infondata. Alla stessa conclusione si ritiene che si debba giungere anche con riferimento alla presunta violazione del principio di uguaglianza dinanzi alla legge, di cui all'art. 3 Cost. Non v'e' dubbio, infatti, che la nuova disciplina, vigente ad oggi solamente in Campania (ma non bisogna dimenticare che nel recente passato la dichiarazione dello stato di emergenza nel settore dei rifiuti ha riguardato anche Lazio, Puglia, Calabria e Sicilia), introduca un trattamento differenziato (piu' severo) di determinate condotte altrove non costituenti reato o punite assai meno severamente, e che tale difformita' di trattamento ponga problemi rispetto al principio di uguaglianza. Uguaglianza non tra cittadini campani e cittadini di altre regioni, posto che, come ovvio, le condotte punite in base alla nuova legge potrebbero essere poste in essere, in Campania, anche da cittadini di altre regioni o perfino da stranieri, ma differenziazione tra i cittadini ratione loci. Occorre allora interrogarsi, in primo luogo sulla sussistenza o meno di condizioni di fatto davvero peculiari caratterizzanti proprio quei territori a differenza di altri; in secondo luogo, occorre verificare se eventuali peculiarita' territoriali, esistenti nei fatti, giustifichino differenze di trattamento penale e, dunque, in ultima analisi, se il bene supremo della liberta' personale possa essere diversamente sacrificato a seconda dei luoghi in cui la persona commetta determinati fatti, Orbene, la normativa in esame, di carattere eccezionale e temporaneo, trova la propria giustificazione nella peculiare e, come gia' detto, drammatica situazione della gestione dei rifiuti che caratterizza, ovviamente in negativo, la regione Campania rispetto alle altre regioni d'Italia, almeno allo stato. Occorre allora verificare se tale peculiare situazione possa giustificare un trattamento penale differente ratione loci. In realta', gia' in altre occasioni, proprio per la particolare situazione caratterizzante alcuni circoscritti territori dello Stato, e' stata introdotta una disciplina penale differenziata a seconda del territorio come nel caso, ad esempio, del reato di abigeato: dapprima circoscritto alla Sardegna, poi esteso alla Sicilia ed alle provincie meridionali, e poi alla fine depenalizzato nel 1999. Detta normativa ha resistito nel tempo anche al vaglio della Corte costituzionale che, con sentenza n. 71/1969, ad esempio, dopo aver sottolineato le peculiarita' ambientali e socio-economiche dei territori ove vigeva la speciale disciplina sull'abigeato, ha concluso affermando che «ben puo' il legislatore emanare una disciplina normativa differenziata quando questa e' obiettivamente giustificata da diversita' di situazioni e differenti aspetti della vita sociale che razionalmente ne determinano l'adozione». Ancora, piu' di recente e proprio in tema di diritto penale dell'ambiente, sono state introdotte fattispecie imperniate sul superamento di valori-soglia, rimessi, per alcune sostanze, alle valutazioni delle regioni (cfr. art. 137, comma 5 D.lgs. n. 152/2006 e art. 59 D.lgs. n. 152/2006). Sicche' uno stesso fatto (scarico nelle acque di determinate sostanze in determinati quantitativi) costituira' reato o meno a seconda della regione in cui e' commesso. In tutti i casi sopra richiamati, come nel caso posto sub iudice, a uguali fatti corrisponde un trattamento penale diverso da regione a regione. Dette differenziazioni tuttavia, come detto, trovano giustificazione in diverse situazioni di fatto, geograficamente circoscritte, che incidono sul territorio e sull'ambiente, come oggetto di tutela o come luogo contingentemente piu' propizio alla commissione di determinati reati. Nel caso posto sub iudice la situazione emergenziale in cui versava la regione Campania e disordini che quasi sempre accompagnavano l'individuazione di siti di stoccaggio o di aree da destinare a discariche, e dunque, in ultima analisi, l'esigenza di garantire il regolare svolgimento delle procedure previste dal D.L. n. 90/08 per il superamento dell'emergenza rifiuti in Campania, che stava costituendo un serio pericolo per la salute pubblica, giustificava, a giudizio di chi scrive, l'introduzione della fattispecie penale di cui all'art. 2, comma 5 L. n. 123/2008. Anche detta questione va dunque considerata manifestamente infondata. A conclusioni diverse deve giungersi, invece, quanto alla eccepita violazione degli artt. 24, 25 e 27 Cost., sotto il profilo della indeterminatezza della norma in esame. L'art. 25, comma 2 Cost. stabilisce che «nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». Il principio di legalita' esprime esigenze di certezza, che richiedono leggi scritte e stabili, emanate anteriormente alla commissione del reato e sottratte nella loro applicazione all'arbitrio tanto del potere esecutivo quanto di quello giudiziario. Il principio di legalita' si articola in quattro «regole» fondamentali: 1) la cd. riserva di legge; 2) la tassativita' e determinatezza della fattispecie penale; 3) divieto di interpretazione analogica; 4) irretroattivita' della legge penale. Quanto ai principi di tassativita' e determinatezza, gli stessi attengono alla tecnica di formulazione della legge. La norma penale deve essere formulata di guisa che possa emergere con sufficiente precisione sia il bene che si vuole proteggere con la minaccia della pena, sia le specifiche modalita' di aggressione, a cui e' riservata la risposta penale. Del resto, la stessa pretesa di obbedienza della norma risulta sminuita di efficacia, non appena il contenuto del comando risulta dubbio o difficilmente riconoscibile. Si osserva ancora che, se e' vero che l'inclusione nella formula descrittiva dell'illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti elastici non genera, di per se', l'indeterminatezza della norma, e' altrettanto vero che proprio in virtu' del principio di determinatezza della fattispecie penale, la formulazione della legge o meglio la descrizione del fatto tipico deve essere tale da consentire al giudice di stabilire il significato di tale elemento mediante un'operazione interpretativa non esorbitante dall'ordinario compito a lui affidato, permettendo, al contempo, al destinatario della norma, di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo. Venendo alla norma in esame, l'art. 2, comma 5, L. n. 123/2008 punisce non solo chiunque «impedisce» l'accesso dei mezzi dell'Esercito ai siti di interesse strategico nazionale ex art. 2, comma 4, L. n. 123/2008, ma anche chiunque «rende piu' difficoltoso» l'accesso in detti siti. Orbene, si ritiene che detta locuzione letterale, con cui viene individuata una delle condotte in cui puo' estrinsecarsi la commissione del reato in oggetto, potendo comprendere qualsiasi azione, dalla piu' grave alla piu' banale, da circostanze momentanee ed occasionali, legate allo spazio o al tempo, che possono incidere sulla maggiore o minore «difficolta'», per come peraltro soggettivamente percepita dai conducenti dei mezzi militari, determini la indeterminatezza della norma in oggetto, lasciando in ultima analisi all'A.G. il potere di farvi rientrare o meno qualsivoglia tipo di condotta. Tale indeterminatezza determina poi anche una sostanziale violazione del diritto di difesa del soggetto ritenuto responsabile di tale reato (art. 24 Cost.).